1.
Sintesi delle tesi sostenute dall’autore, degli argomenti trattati e della
struttura generale del volume
In questo libro l’autore vuole presentare in
forma sommaria le ricerche svolte in lunghi anni, su come il territorio rurale è cambiato nei
secoli e quali ragioni hanno portato a tale cambiamento.
L’autore inizia dalla colonizzazione greca descrivendone le regolari forme geometriche
che delineavano il paesaggio. Ogni
divisione (lotto) veniva assegnato ad un colone.
Dalle forme regolari si passa alla parte
dedicata al giardino mediterraneo
dove troviamo appezzamenti irregolari con coltivazioni di alberi e arbusti
(preferiti alla maggese), chiusi per paura dei furti e del gregge, successivamente
ad un’altra parte dedicata all’ accenno alla vite etrusca (diversa da quella
greca).
Con l’ascesa di Roma si ha un primo esempio
di piano paesaggistico; il suolo agrario (limitatio) viene suddiviso
attraverso una griglia con due linee fondamentali (cardo e decumanus). Ogni
lotto aveva delle funzioni precise. Il metodo fu esportato in molte altre zone
del mondo grazie ai successi ottenuti. Questo periodo viene segnato anche dalle
numerose opere civili (strade e acquedotti) che diventarono un elemento
costitutivo del paesaggio. Proprio Goethe nel suo Viaggio in Italia parla di “una seconda Natura, che opera a fini civili”.
Le tecniche utilizzate portano a tralasciare i vecchi metodi per utilizzare il
sistema a maggese e piantagioni arboree. Un altro problema dei romani era che
non vi era una relazione tra agricoltura e allevamento.
Con il passaggio delle grandi piantagioni si assiste ad un altro grande cambiamento: si
vengono a formare piccoli appezzamenti nel quale l’aristocrazia romana sviluppa
questa nuova economia con l’utilizzo dei numerosi schiavi ottenuti attraverso
le guerre. Troviamo la villa rustica (abitazione e lavoro schiavi), la villa fructuria (depositi prodotti) e la villa urbana (abitazione per il piacere padronale). E’ evidente il
passaggio che porta alla visione del territorio agrario come puramente
lavorativo ad una visione estetica. Con il crollo
dell’impero, il paesaggio agrario entra in una situazione di degrado: è in questo preciso momento che le attività
silvio-pastorali prendono spazio (sistema a campi ad erba).
Dai prima anni del V sec. d.C., con le invasioni barbariche e per tutto l’Alto
Medioevo IX, ci fu la disgregazione del paesaggio agrario: saccheggi,
devastazioni, decadimento degli antichi centri di vita urbana, terrore e
violenza. I segni sono i ruderi e “le
città morte”; le poche forme di orti chiusi ed essenze arboree le troviamo
in zone protette da mura mentre nelle campagne più lontane prevale la caccia.
La crisi delle città da spazio alle campagne
nelle quali si ricomincia a ricostruire una società ormai senza più speranze.
Nascono così le prime ville, che poi si trasformarono in casali fortificati ed infine castelli. Un elemento del paesaggio
che caratterizza l’Alto Medioevo è la “Selva selvaggia”, vaste aree di boschi
e foreste davano riparo a orsi, cinghiali, lupi e banditi.
I centri sociali ed economici diventano i borghi inerpicati; nelle zone limitrofe
campi aperti di cereali inferiori (miglio, panico, sorgo).
L’invasione
araba diffonde le colture di riso,
cotone, canna da zucchero, pistacchio, melanzane, spinaci e agrumi.
Il castello
nel paesaggio agrario è il simbolo dell’età feudale. Dal XI sec. avviene una
lenta ripresa delle piantagioni e inizia l’età
delle bonifiche e dei grandi dissodamenti tramite iniziativa dei feudatari,
delle chiese vescovili e infine dei Comuni.
Tra l’XI e il XII sec. il potere passa nelle
mani delle grandi abazie cistercensi che trasformano il territorio.
L’età
comunale è segnata dalla ripresa della attività agricola soprattutto grazie
agli interventi di bonifica: le pianure vengono coltivate con alberi e arbusti
(in particolare la vite) , i boschi
vengono tagliati per utilizzare il legno come materiale da costruzione e come
combustibile. Anche in questi secoli il paesaggio pastorale prevale su quello
agrario (frumento e maggese).
Nel Rinascimento
c’è la chiusura dei campi a pigola e la sistemazione dei terreni in collina con
la tecnica della sistemazione a porche. Il problema del letame è causato da
poco spazio dedicato al pascolo. Grande attenzione al problema dell’irrigazione
dei campi. Nasce il bel giardino all’italiana
(aiuole ben squadrate, filari allineati, terrazze, fasto e mole). Proprio
in questo periodo non solo alle maggiori città toscane, ma anche attorno a
Genova, si sistemano le difficili terre montane con terrazzamenti e muretti. Nel
tardo Rinascimento in Italia centro-settentrionale ci sono le piantagioni e
campi a pigola mentre in Italia Meridionale invece le starze di viti, ulivi e
agrumi e il “giardino mediterraneo”.
A partire dal XV sec. inizia un periodo di
grandi scoperte geografiche che
portarono alla diffusione di nuovi prodotti, in particolare del mais. Si passa
così ad una rotazione continua dove il mais assume la funzione di pianta di
rinnovo.
Ne segue un periodo buio e di regressione, molti dei terreni bonificati tornano
allo stato di palude. Tra il ‘500 e ‘700 si diffonde la cultura del riso in
settentrione, nei terreni acquitrinosi. Avviene un’estensione del paesaggio
pastorale.
Gli anni della Controriforma sono caratterizzati da una profonda crisi del
territorio agricolo e delle attività pastorali. Si ritornerà al paesaggio
classico e romantico per poi arrivare a quello industriale a rotazione
continua. Troveremo nel paesaggio meridionale il “giardino mediterraneo”, in
quello centrale l’alberatura tosco-umbro-marchigiana e in quello settentrionale
la piantata padana.
L’età dell’Assolutismo Illuminato e delle riforme è caratterizzato dalla villa settecentesca (Veneto, Piemonte,
Lombardia, Liguria, Sicilia e Toscana), che diventa un vero e proprio
investimento produttivo. Avviene una evoluzione funzionale: da luogo di puro
piacere ad azienda signorile a sviluppo capitalistico.
Nella seconda metà del
settecento si assiste alla crisi della mezzadria a favore del ceto dei grandi e
medi affittuari (saranno sempre maggiormente interessati al guadagno,
pretendendo sempre di più dai mezzadri che lavoravano i loro campi). In questi
anni un forte cambiamento modifica la situazione agraria, la chiusura dei campi diviene necessaria: diritto
di chiusura e difesa delle aziende signorili a discapito dei grandi proprietari
terrieri e della popolazione più povera. Al Nord prevale la chiusura mentre nel
Meridione ci fu una tenace resistenza.
Negli ultimi decenni del ‘700 viene trattato
il problema del disboscamento,
dissodamento e degrado del paesaggio montano, che raggiunge livelli altissimi.
In Toscana si sviluppa il paesaggio delle colmate: opere di bonifica idraulica.
Le colline vengono sistemate a ciglioni, a terrazze e a tagliapoggio.
Nell’età
risorgimentale l’autore descrive tre sviluppi differenti che si vengono a
formare in Italia. Al nord il
paesaggio padano dei prati irrigui, delle culture a rotazione continua e della
piantata a bassa densità (forte cambiamento politico e sociale caratterizzato
dalla crisi della mezzadria e dall’ascesa delle grandi imprese capitalistiche);
al centro le colmate a monte e la
sistemazione a “prode” ed a “spina” (anche in questi caso vi è una rivoluzione
politica simile a quella del nord Italia ma di minor rilievo); al Sud situazione diversa: massa di popolazione
rurale costituita da contadini che, in anno in anno, riducono a precaria
cultura una miriade di spezzoni, sulle immense distese dei latifondi feudali,
comunali ed ecclesiastici. Poi ripartizione in massa dei demani feudali.
L’Unità Italia è un momento decisivo in quanto avviene
l’unione sotto un unico potere dei piccoli Stati presenti in Italia. Vengono
costruite nuove linee ferroviarie e
abbattute le barriere doganali: si crea un mercato nazionale. Nuovi sviluppi
dei traffici commerciali creano specializzazioni locali esportate in tutta
Italia (esempio la specializzazione del mezzogiorno delle culture d’ulivo e di
agrumi).
Nella Pianura padana si
sviluppa la piantata asciutta e la piantata irrigua assume i classici caratteri
capitalistici aziendali (risaie).
Nelle
aree tosco-umbro-marchigiana la spinta capitalistica è inferiore e troviamo
l’alberata tradizionale accompagnata da sistemi agrari a rotazione continua e
campi chiusi: si raggiunge un carattere estensivo piuttosto che intensivo. Nel
Mezzogiorno la ripartizione di massa dei demani ex-feudali si conclude intorno
al 1860. Oltre 2 milioni e mezzo di ettari vanno ad ingrossare il patrimonio
terriero della nuova borghesia. Comunque continua lo scontro tra vecchia
nobiltà e nuova borghesia a discapito della massa popolare.
Nell’ultima parte del libro l’autore riassume
i pensieri espressi in precedenza. Il paesaggio è fortemente condizionato dalle
lotte dei lavoratori e dei piccoli produttori agricoli. Dai numerosi documenti
scritti e disegnati, risulta chiara l’evoluzione che ha portato ad un sistema
agrario più complesso. Dietro ad un semplice cambiamento si possono trovare in
realtà ragioni molto più elaborate.
2. Considerazioni sulla
definizione di paesaggio, se riportata in maniera esplicita, e/o sulle idee
circa la sua natura
La definizione di paesaggio non è riportata
in maniera esplicita ma si scopre attraverso
la lettura del libro. Il paesaggio agrario deriva dall’interazione tra l’uomo e
la natura. L’uomo condiziona l’ambiente in cui vive e lavora a seconda delle
sue necessità.
Le necessità però non sono sempre le stesse, cambiano in base al
territorio in cui si lavora, in base alla situazione politica ed economica, in
base al ceto sociale.
Proprio per queste ragioni si susseguono momenti in cui
le campagne hanno un ruolo primario a periodi in cui sono in uno stato di forte
degrado e abbandono.
Questi cambiamenti ci sono descritti grazie a numerose
riproduzioni di opere d’arte delle varie epoche (mosaici, tele, affreschi,
dipinti e disegni di grandi artisti come Giotto, Giovanni Bellini, Domenico
Veneziano e Renato Guttuso) e frammenti di opere letterarie. Questa
multidisciplinarietà rende l’opera completa.
Non vi è una definizione di paesaggio poiché
quest’ultimo assume nel tempo svariati significati: semplice giardino estetico, strumento di sopravvivenza, mezzo di guadagno, area
inutilizzata e abbandonata a se stessa, strumento di sfruttamento capitalistico.
Per questo libro il paesaggio è la storia del paesaggio.
3. Gli elementi
attraverso cui l’autore descrive o rappresenta il paesaggio
L’autore descrive l’evoluzione del paesaggio
andando a scovare le ragioni che hanno guidato tale cambiamento.
Non si limita a descrivere l’evoluzione agricola e
pastorale da un punto di vista puramente tecnico, bensì ne descrive il contesto
storico e le ragioni economiche,
sociali, politiche e culturali che hanno spinto in questa direzione invece
che in un’altra.
Nel libro il paesaggio è la storia, è l’evoluzione che ha portato
al paesaggio contemporaneo, è l’insieme dei fenomeni che lo hanno mutato. Come
ho già sottolineato in precedenza, la scelta dell’autore di avere una visione
multidisciplinare dell’argomento, fornisce una visione più completa.
Partire con l’analisi storico-sociale, per
poi passare ad informazioni più tecniche (per esempio la tipologia di
coltivazione, le tecniche per la stabilizzazione dei terreni più impervi..) e
condire il tutto con immagini storiche, citazioni letterarie e dati sondaggi
storici, ci fa riflettere su quanti siano in realtà i fattori che fanno parte
del paesaggio agricolo. Pensare al campo coltivato come semplice pezzo di terra
su cui si coltivano prodotti è un errore.
L’approccio giusto è quello di
domandarsi il perché delle cose e
andare oltre analizzando le relazioni con il contesto in cui si trova.
4. Come si trasforma il
paesaggio e quali fattori ne determinano le trasformazioni
Il libro inizia con la descrizione
dell’evoluzione del territorio agrario italiano dalla colonizzazione greca del
Sud Italia (510 a.C.) fino ad oggi. Si percepisce che le comunità hanno
trasformato l’ambiente con continuità per soddisfare le loro esigenze, le quali
non sono rimaste le stesse nel tempo, ma sono cambiate. Il contadino dell’antica
Roma aveva delle necessità e delle conoscenze ben diverse dal contadino del
Medioevo o Rinascimentale.
Ogni generazione ha apportato al territorio delle
profonde modifiche, seguendo però delle regole ben precise, a volte simili a
quelle precedenti, a volte molto diverse e rivoluzionarie.
L’approccio che riscontriamo in molti degli
esempi letti nel libro è quello che noi oggi possiamo chiamare progetto implicito. Il paesaggio ha una
natura collettiva (non è stato
progettato a tavolino in un determinato momento da una persona ed è rimasto
tale nel tempo, bensì è il prodotto di una pluralità di persone e di azioni in un
lasso di tempo medio lungo), evolutiva (deriva
da anni di prove, di successi e di fallimenti; arrivare ad una soluzione giusta
e duratura necessita di tempo), interscalare
(opera su diverse scale, nel libro troviamo numerosi esempi differenti: dai
piccoli orti chiusi e protetti del Medioevo, alle grandi piantagioni dell’800)
e sostenibile (si studia la situazione in cui ci si trova e si effettuano
scelta basate sulle considerazioni fatte; c’è un maggior rispetto per il
territorio con cui si interagisce).
Tutti questi fattori portano al delinearsi di
infinite tipologie di paesaggio agrario, spesso racchiuse in macro gruppi, ma
che in realtà posseggono una loro identità
ben precisa.
5. Suggerimenti e suggestione per
un piano paesaggistico
La lettura di questo libro sottolinea
l’importanza di leggere il territorio in cui si andrà a lavorare. Il
suggerimento più grande lo da l’approccio che il libro ha, cioè quello di
andare oltre la visione semplicistica per una lettura più consapevole e matura
del paesaggio.
Domandarsi perché in un’area troviamo un bosco mentre in
un’altra terrazzamenti destinati alla vite non va sottovalutato. Ripercorrere
le principali tappe storiche dei cambiamenti del paesaggio agrario italiano
aiuta a darsi delle risposte giuste.
Nel libro sono descritti alcuni metodi
utilizzati in passato per gestire il territorio agrario.
Il primo che incontriamo è quello della colonia di Turi, sotto il dominio della
Grecia. Nella Tavola di Eraclea riscontriamo la volontà di gestire il
territorio attraverso la lottizzazione e l’assegnazione di funzioni ad ogni
lotto (forma geometrica e affidato a coloni).
Un altro esempio è il piano paesaggistico della conquista romana,
il quale per rispondere alla necessità di un nuovo sistema agrario diffonde è
impone una forma universale (limitatio). Ne risulta una regolare quadrettatura
del suolo agrario.
Interessante vedere come già nel XII secolo
persone come Pietro de’ Crescenzi, si affrontavano il problema della difesa idrica delle sistemazioni collinari.
Nella sua opera parla della pratica volta a difendere i terreni più declivi
dall’erosione delle acque a mezzo di sostegni e di ripari.
Nel XII secolo troviamo un piano di
colonizzazione nel paesaggio di Villafranca Veronese. Ad ogni colono fu
assegnato un manso (33 “campi” veronesi, di cui 1 per la casa e 32 “pro
laborare”).
Questi esempi ci fanno riflettere
sull’importanza del rapporto tra aree residenziali e aree agricole.
Ritrovare
l’equilibrio sul nostro territorio sarà fondamentale per la riuscita di un buon
piano paesaggistico. Il ritorno all’ agricoltura non deve essere considerato
come un passo indietro, bensì come un passo in avanti, verso un migliore
rapporto tra l’uomo e la natura.
6. Brevi note biografiche
sull’autore
Emilio Sereni
(Roma, 1907-1977)
Nato in una famiglia ebrea di intellettuali antifascisti, si è diplomato
al Liceo Terenzio
Mamiani di Roma. Fratello
del sionista-socialista, cofondatore del kibbutz Givat Brenner Enzo Sereni; nel 1926 si iscrisse al Partito
Comunista Italiano ed un anno dopo si
laureò in agronomia a Portici, iniziando poco
dopo un'opera di proselitismo nella provincia di
Napoli.
Nel 1930 si reca a Parigi
ed entra in contatto con Palmiro Togliatti. Rientrato in
Italia nel settembre dello stesso anno fu arrestato e condannato dal Tribunale
Speciale a vent'anni, poi
ridotti a 15 per il cumulo delle pene.
Amnistiato nel 1935, espatria clandestinamente a Parigi con la moglie Xenia Silberberg, conosciuta con
il nome di Marina, e la piccola figlia Lea; qui è responsabile del lavoro
culturale ed è redattore capo di Stato Operaio e La voce degli italiani. Nuovamente
scoperto, nel 1943 viene condannato a
18 anni per "associazione sovversiva" ma un anno dopo riesce a
fuggire e si stabilisce a Milano, dove il partito gli assegna l'incarico di dirigere
l'ufficio di agitazione e propaganda.
Dopo aver svolto
un ruolo importante nella Resistenza come rappresentante, insieme a Luigi Longo, del Partito
Comunista nel CLNAI di Milano e come componente del comitato insurrezionale costituito
nell'aprile 1945, nel 1946 entra nel comitato
centrale del PCI (vi resterà fino al 1975) e fu due volte ministro sotto Alcide De Gasperi: la prima
dell'assistenza postbellica e la seconda dei lavori pubblici. Eletto senatore
nel 1948 e confermato nel 1953, divenne direttore di Critica marxista e nel 1956, durante i fatti
d'Ungheria, fu uno dei pochi a schierarsi apertamente con l'Unione Sovietica.
Tra le sue opere
ebbero particolare successo Il
capitalismo nelle campagne, Il
Mezzogiorno all'opposizione, La
questione agraria nella rinascita nazionale italiana e La
rivoluzione italiana, ma i suoi scritti sono innumerevoli: la sua
bibliografia contiene 1071 scritti ed i primi risalgono al 1930. Donò tutto
questo materiale all'Istituto "Alcide Cervi" di Gattatico (RE) - di cui fu un fondatore - dove è a disposizione degli
studiosi.
Straordinario
poliglotta, conosceva il tedesco, l'inglese, il francese, il russo, il greco,
il latino, l'ebraico, alcune lingue cuneiformi (come l'accadico, il sumero,
l'ittita) e il giapponese.